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Le rose del deserto - Mario Monicelli |
Petrus
Reg.: 17 Nov 2003 Messaggi: 11216 Da: roma (RM)
| Inviato: 30-11-2006 10:22 |
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Estate 1940. Una sgangherata compagnia medica italiana di stanza nel deserto libico si vede passar di fronte tutta la guerra quasi senza accorgersene. Fa amicizia con gli abitanti del posto e con strani personaggi emigrati nel continente nero dalla sponda europea, e si troverà a dover affrontare la dura realtà della disfatta e della morte nel momento della precipitosa ritirata di fronte alle truppe alleate.
E sono sessantacinque! Mario Monicelli, lanciando nelle sale Le rose del deserto, tocca l'incredibile soglia di sessantacinque lungometraggi realizzati, che arrivano a 85 se si considerano anche i lavori realizzati come sceneggiatore. Una pietra miliare del cinema italiano dunque, che ci ha lasciato capolavori come I soliti ignoti o La grande guerra. A fronte di una produzione così eterogenea e di livello così alto, dunque, sentiamo in qualche modo di poter perdonare un film come quest'ultimo, approssimativo e scombinato, realizzato dal regista ultranovantenne a distanza di otto anni dall'ultimo, Panni sporchi.
Tratto da "Il deserto della Libia" di Mario Tobino, suo (quasi) coetaneo e conterraneo, Le rose del deserto si muove tra quella che il regista definisce "la sabbiaccia" del deserto libico, popolato per l'occasione da una scombinata brigata medica dell'esercito italiano, oltre che da più o meno coloriti villici locali. Monicelli ne rivendica "la cifra leggera e ironica", suo patrimonio registico da sempre, e si compiace del cast assemblato per l'occasione, uno dei pochi motivi di vanto della pellicola.
Si alternano sullo schermo Alessandro Haber, Michele Placido e Giorgio Pasotti, trio di attori di elevata qualità. Anche loro però, pur emergendo qua e là con la propria forza attoriale, finiscono soffocati dall'approssimazione alla quale viene ridotto tutto il girato. Monicelli gira e rigira attorno allo stereotipo degli "italiani brava gente", dell'ingenuità, dell'abnegazione e della gigioneria della truppa rispetto all'obesa arroganza dei propri politicanti, dei propri generali. Se Pasotti incarna perfettamente il classico tenentino acqua e sapone, misuratamente buono e razionale, invaghito della bella ragazza del posto, Haber raffigura lo stereotipo dell'ufficiale superiore apatico e sognatore, attaccato visceralmente al ricordo della propria terra, della propria casa, attraverso la figura catalizzatrice della moglie.
Sin dalla prima sequenza il film s'innesta su questa dinamica strutturale, con un batti e ribatti su uno scaricamento di responsabilità reciproco all'interno della gerarchia militare, e la esaspera man mano che procede nella narrazione, fino ad arrivare alla grottesca figura del generale, interpretato da Tatti Sanguineti. Il meccanismo regge fino a un certo punto, e soffre del reiteramento della stessa architettura nelle varie sequenze in cui si struttura.
Ne soffre, di conseguenza, il montaggio, che fatica a tenere assieme la frammentazione di un impianto che si rivela disunito e, a tratti, non coerente.
Sicuramente, lo sappiamo, ci sono le attenuanti di una produzione difficoltosa e di un budget non adeguato alle ambizioni (anche se nove milioni di euro oggi non si concedono proprio a tutti), ma ci sembra che le pecche risiedano altrove, in una debolezza generale d'impianto e d'intenti che minano il film, anche visivamente.
Non ci resta che attendere il sessantaseiesimo. Che la "palindromia" del numero ci restituisca un Monicelli di livello?
pubblicata anche qui
_________________ "Verrà un giorno in cui spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate" |
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HarryLime
Reg.: 05 Feb 2006 Messaggi: 119 Da: Roma (RM)
| Inviato: 01-12-2006 01:27 |
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monicelli? ma chi è monicelli? ancora con la commedia all'italiana? monicelli è finito da vent'anni
_________________ In Italy for thirty years under the Borgias they had warfare,terror,murder,bloodshed but they produced Michelangelo, Leonardo da Vinci and the Renaissance.In Switzerland they had brotherly love, five hundred years of democracy and what did that produce? |
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